sabato 29 marzo 2014

Vita, morte e miracoli di Mary Shelley (1): sesso selvaggio a villa Diodati (ovvero il "Frankenstein")

Salve, e benvenuti a questo nuovo articolo (wiii, la gggioia proprio)! Prima di iniziare due cosine cosette piccine picciò. Innanzitutto potreste notare un cambio di caratteri (no , non sono schizzofrenico): questo perchè sto usando un nuovo strumento di lavoro diverso da Word (LibreOffice) e faccio ancora un po' fatica ad usarlo e ad adattarmici e, quindi, per un po' potreste vedere qualche variazione (se faccio fatica ad usare un programma di scrittura figuratevi quali possano essere le mie capacità informatiche! Penso che un procione abbia più dimestichezza di me nell'usare anche "campo fiorito"!). Inoltre ho scoperto che presenta comunque qualche difetto parecchio fastidioso: non corregge gli errori di battitura e, vi posso assicurare, io ne faccio diversi perchè o scrivo al buio o digito i tasti troppo in fretta e non mi accorgo di quel che esce sullo schermo (tutte balle, la verità è che sono spesso e volentieri distratto da altro). In ogni caso se ne vedete non è che non sappia scrivere o che non sappia l'italiano (anche se non è detto): non è che magari siete voi che non sapete leggere? Comunque iniziamo con questo articolo che, vi assicuro, si rivelerà molto più "particolare" di quanto non possiate pensare.

Innanzitutto ecchiè Mary Shelley? Non solo si tratta di una delle più grandi scrittrici (non nel senso che era alta e cicciona) del 1800 romantico ma fu, in primo luogo, una vera rivoluzionaria le cui azioni, spesso censurate dai libri di testo, farebbero ancora scandalizzare se solo fossero portate alla luce. Mary Wollstonecraft Godwin (questi i cognomi della madre e del padre mentre Shelley era quello del marito Pierce) nasce a Londra nel 1797. La madre, Mary (1759-1797) pure lei (ah, le cose magnifiche che può fare la fantasia...), era una filosofa e una delle prime femministe della storia del pensiero moderno: morì però una decina di giorni dopo aver messo al mondo sua figlia per delle complicazioni dovute al parto. E così il padre della piccola, William Godwin (1756-1836), pionere del pensiero anarchico, si ritrovò per qualche anno a dover allevare due bambine, Mary e Fanny, figlia di una precedente relazione della defunta moglie. Questo almeno finchè, ad aiutarlo, non arriva una nuova moglie, sua vicina di casa (la scusa che è finito lo zucchero funziona sempre), già madre di Claire, una ragazza un po' ribelle diremmo oggi. Ma la vita continuava tutto sommato tranquilla e, a parte le bravate di Claire (battone si nasce, non si diventa), tutto sembrava andare per il meglio fino al 1814 quando Mary fece la conoscenza di un allievo del padre: Pierce Bysshe Shelley (1792-1822). Questi era un giovane poeta rivoluzionario (pure lui, sì, andava di moda si vede) che, dopo essere stato scacciato dall'università di Oxford per aver sostenuto i suoi ideali atei (cosa poco tollerata ai tempi), era scappatao giovanissimo in Irlanda con sua moglie (sicuramente rivoluzionaria pure lei), da cui aveva avuto due bambini, a cercare di far ribellare la popolazione contro il dominio Inglese (l'isola era praticamente una schiava del fiero impero britannico): qui non solo fallì miseramente nell'impresa di aizzare la gente contro gli oppressori (che vuoi gliene fregasse a dei poveri contadini che vivevano tra pecore e patate?) ma abbondonò pure moglie e figli perchè pare che lei non potesse capire la poesia (allora scuuuusa Pierce, sei mejo tu). E fu così che il giovane ribelle poeta si ritrovò a dicutere di filosofia a casa del suo maestro Godwin: e, si sa, tra una discussione e l'altra, il corpo ha pur bisogno di sfogarsi in qualche modo. E fu così che Mary, diciassettenne desiderosa di provare nuove esperienze (leggi pure maiala), non perse tempo a farsi aprire come un'ostrica ai pranzi di matrimonio e a farsi riempire come un fagiano imbalsamato: infatti, mossa da spirito ribelle, pare che la prima volta che il portone principale le fu sfondato da Pierce si trovassero sulla tomba della madre (il buongusto proprio) per esternare questa voglia di andare contro il sistema e di rompere ogni pregiudizio che li avrebbe seguiti anche negli anni seguenti. E infatti dopo poco tempo scappò via di casa con il fidanzato in un giro di un anno in Europa da cui tornarono per mancanza di fondi e con un bel bambino che stava per nascere: Mary però partorì troppo presto e il neonato morì dopo poco tempo, trauma questo che segnò per sempre la scrittrice (mentre il marito, catafratto di oppio com'era, probabilmente nemmeno se n'era accorgeva).

Ma in quel periodo non erano gli unici personaggi a far sentir parlare di sè: il vero protagonista di ogni dibattito e scandalo a sfondo sessuale era l'eccentrico ed esuberante Lord George Byron (di cui ora tracciamo solo i tratti più generali: si merita troppo un capitolo a parte!). Anche lui, in compagnia del suo timido e introverso (e anche molto gay) medico di fiducia John Polidori, si sarebbe avventurato, l'anno successivo, in un travagliato viaggio attraverso l'Europa per comporre un diario di viaggio raggiungendo, in Svizzera, una casa sul lago di Ginevra: villa Diodati (il tragitto e la relazione Byron-Polidori nonchè l'opera "Il Vampiro" di quest'ultimo me le tengo buone per un articolo futuro). Ed è qui che arrivarono pure Pierce, Mary e Claire, anche loro in viaggio per il continente alla ricerca di Byron (padre del bambino che la sorellastra della Shelley aspettava e che lui non aveva poi così tanta voglia di riconoscere) dopo vari imprevisti e situazioni scabrose: pare infatti che Pierce non disdegnasse la presenza della sorellastra della moglie nello stesso letto (d'altra parte tre è meglio di due e i lettoni, si sa, rimangono sempre un po' freddi ai lati se non sono belli pieni) tant'è che, più tardi, quando i tre approdarono a Napoli, nei registri dell'anagrafe compare un bambino che porta il cognome Shelley e, sicuramente, a quel tempo non poteva essere di Mary. In ogni caso non perdiamoci in dettagli scabrosi e torniamo a villa Diodati in quello strano 16 giugno del 1816. E proprio di strano dobbiamo parlare: infatti si era scatenato un tempo terribile, una tempesta con pioggia e grandine come non se ne vedeva da tempo e i nostri eccentrici protagonisti erano costretti a starsene chiusi in casa. Poi, si sa, quando sì è costretti a rimanere tra quattro mura per così tanto tempo, anche se si è giovani e ribelli, dopo la terza orgia di fila ci si comincia ad annoiare (e non sono solo mie supposizioni, sia chiaro, che tutto ciò avvenisse). E allora che fare? Fu così che la notte, stanchi di prendere per il culo Polidori, Byron e Pierce ebbero un'idea molto particolare: perchè non creare, ciascuno a turno, un racconto dell'orrore? Chi avrebbe creato la storia più spaventosa avrebbe vinto ( e non ci voleva molto se Pierce, catafrattissimo, era scappato via urlando dalla sala la sera prima quando si era citata, in modo molto casuale, una donna che aveva gli occhi al posto dei capezzoli. No, ancora non erano arrivati i giochi di Saw, se no altro che organi invertiti...).

Alla fine, quella notte, vennero partorite tre opere: il "Vampiro" di Polidori, un frammento di Byron e il celebre "Frankenstein" di Mary Shelley di cui vi parlo oggi: gli altri li rimando a un'altra volta.

Allora, non penso che ci sia bisogno di riassumervi troppo il "Frankenstein", è abbastanza nota come trama: un giovane studente di medicina resuscita un morto che lo insegue dappertutto uccidendo i suoi cari e rovinandogli la vita. Il romanzo è molto gradevole da leggere, lo trovate in millemila edizioni diverse, non farete fatica nè a cercarlo nè ad affrontarlo: casomai trovaste troppo impegnativa la lettura di un libro in prosa che ha conquistato generazioni di persone e che palra di morti e massacri allora guardatevi "Frankenstein Junior" che vi fate pure due risate (se non lo avete mai visto e pensate che sia troppo sbatti giardarvi un film comico tra i più divertenti mai realizzati, ragazzi, veramente, non so che dirvi!). Ora pensavo di concentrarmi di più sulle basi su cui si fonda l'opera e sulle sue conseguenze per poi accennare a una mia personale interpretazione del testo.

Come detto questo mostro (che non si chiama Frankenstein ovviamente, quello è lo studente che lo crea) è un morto resuscitato tramite l'utilizzo di una forte scarica elettrica che avrebbe dovuto riavviare il battito cardiaco e gli impulsi nervosi del cervello (non provateci col vostro, tanto non funziona). Questa teoria è anche nota come galvanizzazione e, il più grande studioso che abbia mai provato a studiare questi fenomeni, fu un certo Erasmus Darwin, nonno di quel Charles che avrebbe formulato più tardi la teoria dell'evoluzione umana. Ed era proprio delle scoperte di questo noto studioso (di Erasmus ovviamente, non si Charles) che Pierce e Byron parlavano la notte prima tra di loro: Mary, attentissima alla conversazione, ne rimase molto colpita ma decise di andare a letto per riposarsi. Durante il sonno fece un incubo terribile: un cadavere si svegliava e la osservava silenzioso (scena uguale identica a un passo del romanzo). E fu proprio questo fatto a gettare le basi per il romanzo dell'orrore più famoso di tutti i tempi!

Ma il tema del sapere scientifico che andava imponendosi in modo dominante si afecva sempre più forte in quegli anni: si entrava infatti nell'era del positivismo, un movimento che sosteneva che, facendola molto breve, tutto poteva essere studiato in modo analitico e scientifico (anche le masse, per dire, ignorate fino ad allora), persino il gradino che divideva la vita dalla morte (tema scabroso e mai affrontato prima). Tutto questo sistema si andava però scontrando con la morale: fin dove era lecito esplorare nuove frontiere del sapere scientifico? Quando si andava eccessivamente in contrasto con le leggi cristiane o naturali stesse? Questo è un problema che ancora oggi ci portiamo dietro, basti pensare alla clonazione, alla ricerca sulle staminali o, molto più semplicemente, all'energia nucleare: un modo per far star bene tutti oppure una possibile arma di distruzione di massa? Mary attribuisce un significato tendenzialmente negativo alla ricerca scientifica: sì, è vero che si possono fare grandi cose come resuscitare un cadavere (provateci anche voi, bambini, basta della colla vinilica e un paio di forbici dalle punte arrotondate!) ma questo è anche contro le antiche leggi che regolano il mondo e, pertanto, il creatore di questo mostro è costretto a soffrire lui stesso per tutta l'umanità: ha peccato di quella che i Greci chiamavano "ubris", ovvero arroganza verso le divinità, che portava ad un'inevitabile punizione (e un tempo ci andavano giù veramente pesanti coi castighi).

Ma la vera dimensione dell'incubo, secondo me, è molto più psicologica che reale. Questa, lo premetto, è una mia teoria che però potrebbe trovare riscontro anche in opere di critici che ne sanno più di me ma che io non conosco (evviva l'ignoranza, siiii!). Secondo me infatti non esiste nessun mostro, è tutto il parto della mente stanca e malata di Frankenstein. Tra i vari elementi che mi portano a proporvi questa mia opinione c'è ad esempio il momento della nascita del mostro: tutto in quel brano è frammentario, senza continuità, come se il protagonista stesse vivendo dentro ad un incubo. Infatti il mostro non si alza subito dopo l'esperimento ma la notte, quando Frankenstein dorme, svegliandolo di soprassalto e facendolo fuggire di casa. Da questo momento in poi il mostro non si mostra mai ma segue il protagonista, in viaggio per la Svizzera, come un'ombra furtiva tra le montagne (un'ombra che secondo me bestemmiava molto in quel periodo). Nessuno lo vede, solo il suo creatore, quasi non fosse reale ma un parto della mente. E la cosa si comincia a fare particolarmente strana soprattutto quando si considera che non stiamo parlando di un piccolo goblin che va in giro ad ammazzare la gente ma di un bestione alto due metri che le strangola: possibile che nessuno l'abbia mai notato? Per questo, secondo me, era lo stesso Frankenstein l'omicida che assassinava i suoi cari perchè, completamente impazzito, si sentiva perseguitato da un senso di colpa terribile per aver tentato di andare contro la natura universale riportando in vita chi, ormai, era morto. Anche le varie situazioni nascondono diversi elementi che mettono in luce questa cosa come, ad esempio, il fatto che per poter eliminare certa gente solo qualcuno di caro e vicino alle vittime come Frankenstein avrebbe potuto conoscere alcuni dettagli altrimenti sconosciuti a un cadavere da poco tornato in vita (ho la netta sensazione che la concordanza dei tempi in questa frase sa andata a farsi fottere ma fa niente). Per quanto riguarda il finale, che non ho intenzione di rivelarvi, è vero che qualcuno vede e parla con il mostro ma, se il libro venisse interpretato come vi dico io, anche quest'ultimo passaggio guadagnerebbe una valenza più simbolica che pratica. Quindi, per riassumere, secondo me non c'è nessun mostro di alcun tipo ma solo uno scienziato fuori di testa che, vinto dai sensi di colpa per essersi azzardato in un'impresa così ardua, sente di dover portare il peso della colpa dell'uomo che si spinge troppo in là nelle ricerche scientifiche, trascinando, per la loro gioia, con sè amici e famigliari.

Ovviamente un capolavoro come questo merita un'analisi migliore della mia e anche qualche riferimento in più al contesto sociale e culturale del tempo ma, come vedete anche voi, non c'è spazio qui e quindi rimando il tutto a un'altra volta. Anche la vita di Mary Shelley non pensate finisca qua! Però per raccontarvela tutta pensavo di adottare sempre questo schema: un pezzo di vita + un'opera di quel periodo. In ogni caso il mio tetso di riferimento per quest'articolo è stato "La Notte di Villa Diodati" a cura di Danilo Arona (e chi cazz è? Ah bho...) per la Nuova Adelphi che, per soli 12€, vi presenta un ottimo saggio introduttivo ricchissimo di informazioni e curisoità, delle biografie molto accurate su tutti i protagonisti di quella notte e le tre opere di Polidori, Byron e della Shelley: che volete ancora di più?

L'articolo per oggi finisce qui, andate in pace! Solo vi ricordo un paio di cose: ieri ho pubblicato un piccolo VLOG che, se avete voglia di leggere, trovate subito dopo questo articolo (oppure per i più pigri tra voi qui). Questo articolo ho fatto una fatica assurda a finirlo in tempo e quindi, se vedete errori o altro, non avete che da dirmelo! Mi scuso se, per questa volta, non ho avuto il tempo nemmeno di mettervi le foto dei nostri protagonisti ma il motivo di questo mio ritardo (non quello mentale, l'altro) è spiegato appunto nel VLOG! Volevo dedicare questo articolo a tutti quelli a cui ho già fatto una testa così sulla vita di Mary Shelley e che sono costretti a sorbirmi tutti i giorni!

La prossima volta invece affronteremo un'opera molto particolare di uno degli umanisti meno considerati di sempre: Poggio Bracciolini!
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