venerdì 20 novembre 2015

L'anima della riscoperta (4): la terribile vendetta di Seneca!

Ciao e benvenuti tutti quanti a un nuovo spirito della riscrittura, la serie con cui sistemo e riscrivo i vecchi articoli! Mi scuso subito per il font poco felice ma, per problemi di formattazione, questo c'è per i prossimi articoli della collana (maledetto Libre Office!).  Oggi vi parlerò di una delle opere più particolari dell’età imperiale romana e che, a volte, non viene trattata a scuola. Sto parlando dell' "Apokolokyntosis" di Seneca (sì, proprio lui) anche conosciuta, in Italiano, come "la zucchificazione del divo Claudio".
Claudio (come non è mai stato)
Roma, 41 d.C. Dopo la congiura contro l'imperatore Caligola, sale al potere lo zio Claudio (10 a.C.-54 d.C.). Seppur non giovanissimo, decise di tenere le redini di un impero ormai vastissimo e molto eterogeneo, varcando le porte del palazzo imperiale, pieno di tranelli e trabocchetti orditi da un folto stuolo di adulatori, spie, concubine e altre figure dalla dubbia morale. E Claudio era proprio l’uomo che faceva per loro: ingenuo e anche, pare, leggermente ritardato, tutti si approfittavano di lui. Campionessa di inganni la moglie Messalina, famosa per la sua insaziabile ninfomania, almeno a quanto dice il poco affidabile Giovenale nella satira sesta. L'autore, certamente, ci è andato giù pesante con le ingiurie ma, di fronte a molteplici testimonianze, forse non si è inventato proprio tutto. Pare infatti che Claudio, completamente assoggettato ai capricci della consorte, le abbia procurato un giovane schiavo ballerino affinché ne potesse disporre come voleva. Ma a un certo punto decise di ribellarsi a Messalina con incredibile sadismo: quando gli comunicarono a cena che la moglie era morta avvelenata (sotto suo ordine, ovviamente) non se ne curò più di tanto e continuò ad assaporare il suo vino come se nulla fosse. Questo solo uno dei numerosissimi omicidi politici e delle nefandezze che commise a corte sfruttando il suo potere. Tanti i motivi per odiarlo, numerosissime le persone che ce l’avevano a morte con lui e, tra questi, vi era pure il nostro Seneca!
Ma quando Claudio salì al potere il filosofo non si trovava più a Roma. Da un paio d'anni, infatti, era stato esiliato da Caligola per aver difeso in modo troppo brillante una causa in tribunale e, pertanto, era da ritenersi un uomo pericoloso. In seguito, con la morte del suo persecutore, sperava finalmente di poter tornare in patria ma Claudio, invece, rimase insensibile ad ogni sua supplica.
Seneca
Molte le lettere che Seneca aveva cercato di fargli arrivare ma nulla si muoveva
: infatti Polibio, un liberto agli ordini dell’imperatore, incaricato di vagliare la posta diretta al regnante, le stracciava tutte in automatico! Seneca, l'integerrimo, disperato, arrivò addirittura a comporre un testo consolatorio a Polibio per la morte del fratello: nemmeno questa gran leccata, però, gli porto qualcosa. Diciamo che è una buona macchia sul curriculum, che si va ad aggiungere a diverse altre, per un uomo che predicava il disinteresse totale per la sorte terrena! Alla fine riuscì, finalmente, a tornare in patria solo nel 50 d.C. per intercessione di Agrippina, seconda moglie di Claudio nonché madre di Nerone, il futuro imperatore. In ogni caso a Seneca, decisamente, non era andato giù il comportamento del regnante e, quando quattro anni dopo il vecchio Claudio morì, poté finalmente sfogare tutto il suo odio, condiviso da molti, con un’opera molto particolare: l’ ”Apokolokyntosis”, appunto. Il termine viene da un'oscura parola greca
 e non è ben chiaro il perché di questa "zucchificazione".
Volendo riassumere il tutto in poche parole, l'opera inizia con la morte di Claudio che "emette" l'anima in bagno (la diarrea l’ha sempre accompagnato, fedele, per tutta la vita ma potrebbe anche esser stato avvelenato) che ascende all’Olimpo, come tutti gli spiriti degli ex imperatori, con l’intento di diventare una divinità. Lì fanno fatica a capire chi sia perché balbuziente ma, una volta riconosciuto, Augusto, schifato, lo manda nell'Ade (il nostro inferno) dove è condannato a giocare a dadi con un bussolotto bucato per l’eternità, isolato e odiato da tutti.
La trama sarà anche semplice ma le battute al suo interno, posso assicurare, sono pensate per divertire anche il lettore medio! Salta subito all’occhio la forza con cui Seneca si scaglia contro la figura dell’imperatore: si tratta di un genere letterario molto particolare: la satira menippea.

La satira, ci dice Quintiliano, è “un genere tutto latino” che affonda le sue radici in Lucilio, maestro del famoso Orazio. L’origine della parola satira è ancora oggi dubbia: c’è chi dice che derivi dal satiro, famoso per i suoi scherzi e l’aspetto buffo, oppure da "vassoio pieno di primizie", come simbolo dei diversi temi trattati all’interno della composizione. Le caratteristiche principali sono i brani di prosa e poesia mischiati, la diversità dei temi e il carattere comico e spietato delle composizioni. Quella di Seneca, particolarmente violenta, merita, però, l’appellativo di “menippea”.
Questa prende il nome da Menippo di Gadara, un filosofo cinico che amava insultare e prendere in giro tutti in maniera molto violenta e caustica, non curandosi dell'opinione pubblica. Addirittura il fondatore di questa scuola, Diogene di Sinope,detto il “Socrate pazzo”, viveva nudo in una botte che si portava sempre in giro e pare arrivasse addirittura a compiere atti osceni in pubblico per dimostrare la sua libertà dal mondo. Il personaggio, utilizzato da diversi autori come protagonista di opere satiriche, è rimasto un simbolo fortissimo e molto scomodo nella storia della cultura occidentale.

Vi consiglio caldamente di leggervi questo bel libretto, non rimarrete delusi! L'edizione Mondadori, l’unica che conosco ma so che di recente La VIta Felice ne ha proposta una nuova versione, presenta un’ottima traduzione, moltissime note e una ricca introduzione con, oltretutto, un prezzo molto basso! Se volete rimanere aggiornati sui prossimi articoli venitemi a trovare sulla pagina Facebook!


martedì 17 novembre 2015

"Letterarte's Meaning of Life" (02): il Vero Amore Esiste?


Ciao a tutti e benvenuti a questo secondo appuntamento con "il Senso della VIta", la rubrica in cui esprimo il mio irrilevante parere su questioni cruciali della nostra esistenza. Oggi, dopo aver visto la scorsa volta se la nostra vita è, effettivamente, inutile (qui), parliamo di amore. E non di amore qualunque ma del Vero Amore, quello che dura in eterno, totale incondizionato, che può portare fino alla morte. Tutti ne cantano, tutti ne parlano riempendosi la bocca di baci alla Nutella e guai a dire che non lo si è mai provato. Ma esiste veramente? Secondo me NO, e oggi vi spiego il perché.



Esatto, avete capito bene, per me non esiste il Vero Amore (e non ho paura a dirlo). Ma questo non significa che non esista in altre versioni meno pure. Questa mia affermazione parte dall'esperienza sensibile. Prendiamo un soggetto A e uno B il cui sesso non ci interessa. A ama B, e viceversa, in modo, a detta loro, purissimo. Ora, passa di lì un giorno C. A non smette di osservare C, è stato completamente conquistato, non capisce il perché ma lo trova molto più desiderabile di B: sarà il modo di parlare, quella grossa curva sul davanti o lo spazio vuoto accogliente come un caldo abbraccio... fatto sta che B, per quanto abbia delle belle forme, non è più il partner perfetto per A. Questo non vuol dire che lo odia ma, semplicemente, a rigore, C>B. E C, dal canto suo, stravede per A a tal punto da mollar tutto e andare con lui: celebrano l'unione e vivono felici e contenti per sempre. A, dunque, vivrà un'esperienza di vita migliore che con B nonostante reputasse questa insuperabile fino a poco tempo prima. B, dal canto suo, tutto triste per l'abbandono di A, pensa che non troverà mai nessuno come lui, con quella punta in cima così acuminata. Ma ecco che, un giorno, incontra D, l'opposto di quel bastardo di C. Subito se ne innamora e, corrisposto, inizieranno una nuova relazione. Tuttavia C non si trova bene e, ancora una volta, si lascia con D: il suo A è proprio insuperabile! Passa il tempo per il povero B che, però, un giorno fa la conoscenza di E che, di punte, ne ha ben tre! Ecco che arriva la felice conclusione anche per queste due lettere dell'alfabeto: entrambe non avrebbero potuto trovare di meglio, ora sì che sono perfettamente appagate!

Questa piccola storiella sull'alfabeto che simula un caso normale, al limite della banalità, per provarvi che il vero amore non esiste di per sé ma, al massimo, si può pensare di provarlo. Al mondo siamo tanti, tantissimi, come possiamo avere la certezza che da qualche parte non ci sia un compagno più consono a noi? Come facciamo a essere sicuri e a dare garanzia, anche al nostro partner, che non li tradiremo Mai e poi Mai, che non subentrerà la noia o una persona più interessante? Semplicemente non possiamo, non ci è dato saperlo ma non solo per un mero gioco di statistiche. Facciamo finta che l'amore, frutto di un'equazione complessa tra diversi fattori, sia quantificabile con un numero. I numeri sono infiniti, questa non è un'opinione, e i fattori possono sempre aumentare di valore. Non esiste un limite alle emozioni o, se esiste, non possiamo individuarlo, quantificarlo, e farlo nostro.

Mi potreste dire che i sentimenti non sono, però, "misurabili" o "calcolabili" e che, al contrario, sono il frutto del nostro istinto, di una parte irrazionale. Vero, vi risponderei, ma ne siete così sicuri? Allora, se volessimo metterla su questo piano di irrazionalità, è questa che spinge A ad andare con C e non un "calcolo matematico". Arrivati a questa conclusione, dove siamo arrivati se non al punto di partenza? A va con C perché "irrazionalmente" sente che è preferibile a B ma, comunque, il risultato sarà in tutto per tutto identico! Questo non vuol dire, però, che l'amore non esista in forme anche molto forti e pure, sia chiaro! Senza dei paletti la nostra vita è destinata, come un torrente che scende lungo il pendio della montagna, a correre giù sempre più rapida e tumultuosa, scoordinata tra gli argini dell'esistenza, fino a infrangersi tragicamente al suolo come una bellissima cascata e, da lì, perdersi e disperdersi in mare.


La vita è troppo breve e triste per non amare, magari non in maniera Perfetta e Vera, per carità, ma alla fine che importa quando hai qualcuno al tuo fianco?

venerdì 13 novembre 2015

Medea la Tragica: della Callas, di Pierpaolo Pasolini e della loro Medea.

Ogni anno dedico una piccola rubrica autoconclusiva in tre articoli su un personaggio legato al mondo della letteratura: l'anno scorso è toccato a Mary Shelley, l'anno prossimo a qualcuno il cui nome inizia per "F" (vediamo chi ci arriva) e quest'anno a Medea, la più famosa eroina tragica (se volete recuperarli basta cliccare sul pulsante "medea" in fondo all'articolo)! Maga potentissima, traditrice del suo popolo, assassina del fratello, è stata
abbandonata dal promesso sposo Giasone in una terra lontana e ostile per cui, in un impeto di follia, ha deciso di vendicarsi di tutto e di tutti trucidando i suoi stessi figli e fuggendo, poi, a cavallo di due draghi volanti. Oggi del mito di Medea rimangono numerosi adattamenti teatrali e cinematografici, oltre a una grandissima serie di riferimenti più o meno velati. Ad esempio, se osservate bene, nella prima parte di "Nymphomaniac" di Lars von Trier vi è una scena che la riprende quasi passo passo interpretata da una meravigliosa Uma Thurman. Oppure, altro esempio, qualche anno fa ho assistito a un'ottima interpretazione in salsa Torri Gemelle in cui l'accento è stato posto sulla diversità di culture e la difficoltà a comunicare nella società moderna. Ma quella di cui vi parlo oggi è la magistrale versione di Pasolini, semi-sconosciuta ai più, che vi dedicò un film con la Callas nel ruolo di Medea.

So benissimo che non tutti, anzi pochissimi, hanno visto questo film o sono arrivati fino alla fine. In effetti, come per molti film di Pasolini, si tratta di un'opera particolare e non di facile impatto. Per questo mi occuperò di parlarne in modo che possiate capir tutti quel che dico anche senza averlo visto per forza! La cosa che più può colpire del film è la stravaganza dei costumi, molto ricercati ed eccentrici, la location un po' astratta e l'alternarsi di lunghe scene senza dialogo ad altre dense di significato che calcano la tragedia. Ma andiamo con ordine.



I vestiti ricalcano quelli di popoli antichi e selvaggi e presentano moltissimi riferimenti a riti mistici e arcaici che Pasolini ama citare prendendo lo spettatore alla sprovvista: seriamente, avreste mai pensato a un sovrano Greco con un copricapo d'oro massiccio del Sud America? Orpelli d'oro, maschere di cartapesta, vesti variopinte svolazzanti e ninnoli vari abbelliscono la scena creando un'atmosfera bizzarra. Questa, come detto, è influenzata anche dal paesaggio. I Greci sembrano vivere inizialmente in una sorta di deserto, arrivano in Colchide, patria di Medea, e si ritrovano in un paesaggio simil-lunare con grosse montagne e abitazioni scavate nella roccia (tipiche, in realtà, dei monasteri Georgiani che, effettivamente, videro il popolo dei Colchi abitare sulle loro pendici) per poi finire il film... a Campo dei Miracoli a Pisa! Lo spettatore viene sballottato da destra a sinistra in un continuo vortice di culture, paesaggi e abbigliamenti che lo confondono e affascinano allo stesso tempo, definendo così il genio (o la
follia) di un Pasolini molto preso da questi rimandi culturali molto precisi e solo apparentemente casuali. In realtà un ordine vi è, bisogna stare molto attenti alle culture prese in considerazione, al loro contesto e, soprattutto, bisogna operare dei confronti e parallelismi nella storia (ad esempio l'arrivo degli Europei in America). Praticamente metà del film, fino al rapimento di Medea, è muto e solo dopo si infittisce di dialoghi sempre più accesi. Si arriva, addirittura, alla scena precedente all'uccisione dei figli in cui la Callas recita una parte di tragedia accompagnata da un vero e proprio coro arcaico composto di donne, muovendosi come doveva essere al tempo delle prime rappresentazioni, almeno stando a quanto ci è stato tramandato: si tratta di un preziosismo assolutamente non trascurabile e che porta l'intera opera su un piano superiore di spessore! Molto importanti e particolari i riferimenti alla magia del sole di Medea che, si vede, sono tratti direttamente da fonti antiche.


Pasolini opera, però, come suo solito, un abbassamento del mito al piano della quotidianità, una sua materializzazione e concretizzazione. Il racconto perde ogni aspetto magico e fantastico per essere adattato, invece, al duro realismo. Così la nave Argo, mitica imbarcazione parlante, altro non è che una zattera raffazzonata o la cetra del celebre Orfeo un rozzissimo strumento musicale. Ogni situazione è cruda e non richiede ulteriori astrazioni. Questo processo, che ha origini fin dagli stessi Greci, risulta originale usato su pellicola: non si cerca lo stupore dello spettatore ma il suo rispecchiarsi nella quotidianità.

Nel concludere questa serie su Medea, cosa potremmo dire? Non so voi ma io sono dell'idea che sia l'eroina tragica per eccellenza, forse il personaggio che meglio incarna la follia e l'amore. Un personaggio molto femminile e femminista, isolata dalla società che la circonda. Sostanzialmente, per quanto non sia "pulita", rimane sicuramente una vittima e non un carnefice. E voi, cosa ne pensate? 


martedì 10 novembre 2015

"Salò o le 120 Giornate di Sodoma" visto con gli occhi di un ventenne.

La scorsa settimana si è ricordato, e per alcuni celebrato, l'anniversario dei quarant'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi intellettuali italiani del XXI secolo. Molte le commemorazioni: documentari, mostre e riproduzioni di suoi film. Tra questi, nella mia città, hanno proiettato la pellicola italiana più scandalosa che sia mai stata realizzata: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" (1975), il primo e unico capitolo della "Trilogia della Morte", seguito della celebre "Trilogia della Vita". Ne avevo visto solo qualche spezzone, ho letto il libro di De Sade, da cui è tratto, qualche anno fa e mi sono recato al cinema conscio di quello a cui sarei andato incontro ma curioso di ciò che ne avrei poi pensato: come può un ragazzo di poco più di vent'anni reagire a questa pellicola nel 2015?

Ebbene: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" è un film bellissimo che tutti dovrebbero vedere! Sono serissimo quando affermo che, date le aspettative per la fama che si porta dietro e letto il libro, pensavo fosse pure peggio. Pasolini opera un ottimo adattamento del libro Sadiano che non poteva che essere così. Ma procediamo con ordine.

Per comprendere il film bisogna sapere che cos'è la "Trilogia della Vita" e cosa sarebbe dovuta essere la "Trilogia della Morte". La prima è composta dal "Decameron", "Le Mille e una Notte" e "Canterbury Tales", tre raccolte di racconti dei secoli passati che avevano come centro tematico la visione della sessualità come giocosa partecipazione popolare in contrasto con la severità del potere ufficiale. Una presa di possesso del proprio corpo proletaria e sub-proletaria, come piaceva a Pasolini, ambientata in un'epoca d'oro, quasi mitica, e prettamente favolistica. In contrasto la "Trilogia della
Morte" avrebbe dovuto mostrare le brutture della modernità, le sue violenze tremendamente silenziose e i soprusi ingiustificati. Il potere ufficiale diventa, così, completamente anarchico nel senso che perde qualunque forma di controllo e si permette di decidere della vita e della morte dei suoi sottoposti. La manipolazione tramite bisogni borghesi imposti, il controllo dei media e la banalità del male sono tutti mezzi con cui siamo abituati alla negatività e al sopruso di potere. Pasolini, come De Sade, riassume il tutto in un'opera enciclopedia del male, un vero sguardo verso l'abisso nero dell'umanità. E il fascismo, come i nobili di fine 1700, incarnano in pieno questa negatività del presente.

Appare limpida e cristallina la totale e assoluta condanna di Pasolini, come anche di De Sade, a questo mondo di violenze indiscriminate: troppo spesso lo si ricorda associato a queste rappresentazioni, più che in contrasto. Egli, come anche il divin marchese, era ed è tutt'oggi una figura incredibilmente scomoda, di cui è meglio parlar bene per non sembrare troppo in contrasto con il libero pensiero ma che, sotto sotto, si disprezza, allontana e censura in modo a dir poco imbarazzante. Ricordiamoci solo della fine che fece Pasolini in seguito a quelle scomode indagini sui giri di soldi legati al petrolio... La verità non è che lo si fraintende, ma che lo si vuole fraintendere e affossare, sebbene il film sia inattaccabile per il valore che voleva avere e che, tutt'oggi, ha. Una polemica forte, certo, ma doverosa ("severa ma giusta" direbbe qualcuno) e, anzi, più vicina alle vittime rispetto a De Sade: qua i malcapitati, almeno alcuni, hanno una seppur minima tridimensionalità che nell'autore francese di fine 1700 non è concessa: c'è spazio solo per i carnefici e per le loro barbarie.


Tiriamo dunque le conclusioni: "Salò o le 120 Giornate di Sodoma" è un magnifico film di Pasolini che, però, si è destinati ad odiare se non si conoscono le giuste premesse. Giusto essere impressionati, non è un film per tutti, ma secondo me ci sono cose che Vanno affrontate, prima o poi, nella vita. E questo film ne è un esempio. Inaccettabile la cattiva fama della pellicola che, in parole povere, non poteva essere diversa da quel che è. Notevoli i riferimenti all'opera originale di De Sade, molto spesso ripresa paro paro. Il senso di disgusto del regista e dell'autore sono evidenti come la loro totale condanna degli eventi. E poi, seriamente, in quanti altri film avete visto, nei titoli iniziali, una bibliografia di documentazione del regista? Su, dai, siamo seri...

Ma questo è solo il parere di un ventenne che va al cinema nel 2015.

martedì 3 novembre 2015

Chi ha inventato la carta? Breve storia di una rivoluzione.


L'uomo, qualche millennio fa, dopo aver soddisfatto i suoi istinti primari ha sentito la necessità, l'istinto, di raccontare il mondo che lo circondava. All'inizio lo cantò, poi ne discusse e, infine, ne parlò per iscritto. La scrittura, appunto, come noi la conosciamo oggi arriva coi Greci (frase molto generica e decontestualizzata ma prendetela per quello che è) e nemmeno tanto presto, se era vista ancora da Platone come un "mezzo inferiore" rispetto all'oralità. Ma i tempi cambiarono e si decise che le parole, se scritte, erano meglio dei discorsi che si perdevano nella memoria ("Verba volant..."). E qui nacque il primo problema: dove scrivere? Certo, si usavano principalmente tavolette di cera o di argilla, più tardi rotoli di
papiro che però scarseggiavano e tanta, tanta pergamena. Questa, in particolare, richiedeva un sacco di lavoro ed era particolarmente dispendiosa: bisognava lavorare la pelle di un intero animale per molto tempo prima di riuscire a ricavarne una quantità misera di materiale. Per fortuna, però, l'inchiostro si poteva raschiare via e, sulla superficie opportunamente levigata, ci si poteva scrivere di nuovo: pensate a quanti testi sono andati perduti così! Oggi però, grazie alle più moderne tecnologie, riusciamo a ricostruire quello che è stato tolto ma si tratta, comunque, di scoperte recenti. Il punto su cui voglio focalizzarmi oggi, però, non è questo. Infatti nel Medioevo si iniziò a sentire l'esigenza di un nuovo materiale su cui scrivere, qualcosa di più comodo e meno dispendioso: era la nascita della carta.

Ma chi ideò la carta? Anche per quest'invenzione dobbiamo affidarci ai Cinesi che già l'adoperavano nel II sec. a.C. ! Presto questo nuovo materiale si propagò a macchia in tutto l'oriente fino ad approdare, di popolo in popolo, al Medio Oriente Arabo. Da qui riuscì presto a raggiungere le spiagge europee: abbiamo notizia di una cartiera in Spagna nel 1150 ma, in
realtà, questo materiale era già conosciuto dai Normanni in Sicilia. Vi siete mai chiesti quale sia il più antico documento in carta e dove sia conservato? Si trova attualmente all'archivio di stato di Palermo ed è un mandato che risale al 1109 della contessa Adelasia scritto in Greco e Arabo! Tuttavia in questo periodo l'uso della carta era molto limitato perché considerato, a tutti gli effetti, un materiale molto più fragile della pergamena e, dunque, poco affidabile: per un suo utilizzo massiccio dovremo aspettare l'invenzione della stampa.

D'altra parte la carta era fatta, all'epoca, in modo molto differente rispetto a oggi. La base, infatti, non era costituita da materiali vegetali uniti da del collante ma stracci di stoffa battuti e ridotti minuziosamente in polvere. Questo processo, particolarmente lungo e faticoso, fu semplificato dagli ingegneri Arabi che inventarono il sistema dei magli a due teste che, fatti funzionare grazie a un meccanismo ad acqua, battevano instancabilmente gli strofinacci senza che ci fosse bisogno dell'intervento dell'uomo. Nell'impasto di polvere e acqua, accuratamente miscelati, veniva immerso un telaio dalla rete fittissima che, una volta estratto, lasciava su di sé solo un
Antiche filigrane
leggerissimo strato di poltiglia. Questo, asciugato e trattato, diventava poi il foglio di carta. Solo successivamente si pensò dispalmarci sopra della colla in modo da rendere il materiale più resistente e meno "assorbente". Dal XIII secolo, poi, venne introdotta la "filigrana", un motivo particolare nel setaccio che lascia un vero e proprio segno di fabbricazione, concetto che viene ora usato sulle banconote per distinguere i falsi. Il primato di questa produzione, spetta, anche qui, all'Italia e, in particolare, alla città di Fabriano!


La storia delle cose che ci circondano non è mai scontata e banale e mi piacerebbe portarla avanti. Questa cosa, però, non posso farla da solo e non mi prendo decisamente tutto il merito di quello che vedete riportato qui sopra! Infatti è tutto tratto e riproposto a partire da un capitolo di "Medioevo sul Naso" di Chiara Frugoni (Laterza) che vi consiglio Vivamente di acquistare se volete saperne di più e che ho utilizzato anche per il mio precedente articolo sulla nascita degli occhiali. Vi ringrazio per aver letto fin qui, vi ricordo di venirmi a trovare sulla pagina Facebook e vi do appuntamento a venerdì!